INTERVISTA AD ANTONIO DE LUCA

di Vera Canevazzi e Caterina Frulloni
 
1) Dove vivi, dove hai vissuto e dove vorresti vivere?
Vivo a Vercelli e ho vissuto a Valenza, in provincia di Alessandria. In futuro forse c’è il progetto di vivere a Berlino o a Barcellona, per godere di altre culture.
 
2) Quanto è cambiata negli anni la tua produzione artistica? Ci sono stati eventi significativi che ti hanno portato a un cambiamento di poetica ed espressione?
Ci sono stati eventi della mia vita che mi hanno fatto cambiare molto, anche come artista. Il fatto di aver studiato in maniera profonda le sacre scritture a 22 anni mi ha fatto crescere, rasserenare. Nella mia prima mostra il mio stile era molto diverso, a 17 anni ero influenzato dal graffitismo, da Keith Haring e Jean-Michel Basquiat. Ed è stato in quell’occasione che ho avuto la presa di coscienza di poter fare il pittore. Anche l’incontro con Emilio Mazzoli e Marco Mango sono stati essenziali: mi hanno consigliato di svuotare perché le mie opere erano troppo piene.
 
3) Quali sono i tuoi testi critici di riferimento?
Gli erbari sono stati importanti per la mia costruzione delle immagini, così come i libri sul giapponismo. Le Lettere a Theo di Van Gogh mi hanno invece fatto capire che ciò che mi interessa di più nell’arte è la verità, essere il più possibile sé stessi. 
 
4) Quali sono i tuoi artisti di riferimento (ieri e oggi)?
Da ragazzo gli Street Artists, poi i Surrealisti. Un contributo più consapevole è derivato dall’influenza di Egon Schiele e Filippo De Pisis (soprattutto le opere del periodo del ricovero), oltre che dagli acquerelli di Auguste Rodin. Oggi invece sono importanti punti di riferimento Giorgio Griffa e Peter Doig (che non è direttamente presente nelle mie opere, ma è il pittore contemporaneo che preferisco). Henri Matisse inoltre è stato centrale a livello concettuale: l’arte deve essere terapeutica, vorrei cercare il più possibile di trasmettere a chi guarda le mie opere la serenità che ne traggo.
 
5) Qual è il tuo genere musicale d’apparenza?
Al liceo Il punk dei NOFX e degli Strung Out e il rap italiano, ma quello non commerciale (ad esempio Assalti Frontali, Colle der Fomento), poi ho conosciuto il jazz e me ne sono innamorato. Ascolto anche la musica elettronica, Björk, ma vario tantissimo. Se però dovessi scegliere un gruppo a cui vorrei che la mia pittura si avvicinasse direi i Soul Coughing: complessi e imprevedibili. 
 
6) Sei un musicista?
No, ma suono il didgeridoo molto bene e meno bene la tromba. Ho anche il progetto di riprendere a far musica elettronica. 
 
7) Che musica ascolti quando dipingi?
Maggiormente l’elettronica e il jazz.
 
8) Dove e come lavori? Hai bisogno di determinate condizioni per entrare nel processo creativo?
Lavoro nel mio studio, che deve essere pulito e riordinato in modo che si crei un ambiente consono all’inizio del lavoro. E ho bisogno della musica, che spesso influenza la scelta del colore. Per il resto c’è molta razionalità nel mio processo creativo e un lungo lavoro sulle immagini.
 
9) Se sbagli cosa succede?
Mio cugino raccoglie ciò che non mi piace, mentre ultimamente ho imparato a rivedere e sistemare alcune opere, soprattutto grazie all’incontro con Matteo Giuntini che mi ha fatto riflettere molto sul tema dell’imperfezione e della revisione.
 
10) Quanto sono importanti i condizionamenti esterni nella creazione di un’opera (per esempio la percezione del pubblico o lo spazio in cui si trovano i lavori)?
Non mi sono mai preoccupato del pubblico, ma se lavoro su commissione ascolto tanto e cerco di portare a termine il lavoro nel miglior modo possibile, senza però mai snaturarmi. 
 
11) La dimensione del caos cosa riguarda per te: il processo creativo, la percezione della realtà o in generale la cultura?
Per me il processo creativo è caotico, a volte è ispirato da un film o da una canzone, o da un volto, o da cose confuse che vengono tradotte in ordine. Anche la società umana ha una forte componente di caos: perde facilmente i valori e fatica ad avere punti di riferimento a causa di forze negative che la influenzano. Ma nella natura trovo un grande ordine. 
La pittura mi aiuta nei momenti di caos: ha un ruolo terapeutico, quando dipingo per me si ferma il tempo, si crea una sorta di bolla e non posso più farne a meno. 
 
12) Che cos’è l’invisibile?
Il visibile ci sembra sempre più importante, l’invisibile però, è concreto e presente allo stesso modo. Nel mio lavoro la parte che non si vede ė importantissima.

Intervista rilasciata in occasione della mostra
CAOS. L’equilibrio della pittura
ANTONIO DE LUCA | 108 | MATTEO GIUNTINI
ZAION GALLERY Biella
FEBBRAIO  – MAGGIO 2021
ART DIRECTOR: Zaira Beretta
TESTO CRITICO E INTERVISTE: Vera Canevazzi e Caterina Frulloni

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