INTERVISTA A 108

di Vera Canevazzi e Caterina Frulloni
 
1) Dove vivi, dove hai vissuto e dove vorresti vivere? 
Vivo ad Alessandria, dove ho lo studio, e ho vissuto per diversi anni a Milano. Per lavoro viaggio tantissimo, non mi dispiacerebbe in futuro vivere a Venezia o Berlino, che resta una delle città più interessanti.
 
2) Quanto è cambiata negli anni la tua produzione artistica? 
Il cambiamento totale è stato alla fine degli anni ‘90, dove al Politecnico di Milano ho scoperto gli scritti di Vasilij Kandinskij e Kazimir Malevich. Quando sono venuto a Milano ho cambiato linguaggio, ho cominciato a sperimentare, anche in musica, mi piaceva l’idea di essere rappresentato da un numero per de-personalizzarmi. Ho deciso così di chiamarmi 108: numero sacro per molti testi induisti, pseudonimo nato quasi per scherzo, ma dietro a cui ci sono motivazioni profondamente spirituali.
 
3) Quali sono i tuoi testi critici di riferimento?
Lo spirituale nell’arte di Kandinskij e il Suprematismo di Malevich sono quelli che continuo a leggere, dove trovo sempre qualcosa di nuovo, e che mi hanno avviato all’astrattismo. La loro componente spirituale, soprattutto all’interno del processo creativo, mi ha cambiato. Ma anche il film Decoder di Klaus Maeck, e tutto il suo mondo anni ‘80 underground. 
Mi interesso inoltre di antropologia, tra cui le religioni antiche e orientali come quella shintoista e buddista giapponese e molto altro.
 
4) Quali sono i tuoi artisti di riferimento?
Il mio pittore preferito è Giovanni Segantini, anche e soprattutto per i soggetti, per il suo rapporto uomo-natura. Anche Olivier Kosta Théfaine che nel suo primo periodo di graffitismo aveva iniziato a dipingere loghi neri. Anche Hans Arp mi ha influenzato, per la sua ironia astratta, insieme dadaista e surrealista. 
 
5) Quale è il tuo genere musicale di appartenenza?
Io sono cresciuto con il punk anni ‘90, movimento che ha portato grandi novità, tra cui l’importanza dell’autoproduzione. Ma mi ha molto influenzato anche il lavoro di Luigi Russolo con il suo manifesto L’arte dei rumori del 1913. 
 
6) Sei un musicista? 
Sí, avevo un gruppo punk e suonavo anche il basso, ma il mio strumento era la chitarra. Adesso invece produco musica sperimentale, drone, ambient, noise e uso qualsiasi tipo di strumento.
 
7) Dove e come lavori? Ci sono particolari condizioni per entrare nel processo creativo? 
Io ascolto sempre la musica quando dipingo, è fondamentale. Spesso i titoli delle opere derivano da qualcosa che sto ascoltando. Patisco un po’ il rapporto con il pubblico e mi piace disegnare quando sono in treno. Ho bisogno di una situazione in cui entro in trance. 
 
8) Nella fase creativa, quanto agisci di istinto e quanto sei progettuale? 
Sono molto istintuale, anche se non riesco a liberarmi del tutto dalla parte progettuale. Cerco spesso nei disegni automatici di disegnare senza pensare, anche se spesso ci sono delle regole mie, mentali che cerco di rispettare. Il gusto dell’imperfezione poi è centrale nel mio lavoro, perché mi piace che si veda il processo che mi porta a una determinata opera. 
 
9) Quanto sono importanti i condizionamenti esterni (pubblico e spazio dove lavori)? 
Quando dipingo non penso molto alla fruizione che avrà un’opera, ma mi faccio influenzare molto dalla cultura del paese in cui sono. Interagire con il luogo poi è fondamentale, con lo spazio e il tempo che lo hanno attraversato, con il suo genius loci insomma. 
 
10) La dimensione del caos per te riguarda il processo creativo, la percezione della realtà o la cultura in generale? 
Io sono caotico, disordinato, ma sono attratto allo stesso tempo dall’ordine e dalla pulizia, dalla tranquillità. L’universo poi è caotico, ma c’è una razionalità a noi incomprensibile, e nella mia pittura c’è una sorta di tentativo di trovare un equilibrio nel disordine. Anche trovare un processo che mi tranquillizzi mentre dipingo è complicato, fare l’artista ha amplificato una parte di me incapace di arrivare a compromessi. 
 
11) Il caos è nulla o è disordine? 
Utilizzo il termine come sinonimo di disordine, ma nella mia produzione mi interessa il fatto che si possano vedere le mie forme nere sia come buchi che come materia, ma anche come portali, infatti l’influenza delle pitture tantriche, che ho scoperto nella Biennale di Venezia del 2013 a cura di Massimiliano Gioni, è stata potentissima. 
 
12) Che cos’è per te l’invisibile? 
L’invisibile è ciò a cui non si può arrivare, che non si può spiegare, ed è la funzione che per me ha l’arte, un po’ come era anticamente nei culti misterici.

Intervista rilasciata in occasione della mostra
CAOS. L’equilibrio della pittura
ANTONIO DE LUCA | 108 | MATTEO GIUNTINI
ZAION GALLERY Biella
FEBBRAIO  – MAGGIO 2021
ART DIRECTOR: Zaira Beretta
TESTO CRITICO E INTERVISTE: Vera Canevazzi e Caterina Frulloni

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